giovedì 25 ottobre 2007

Uffici Pubblici (1)

Pur essendo negli Stati Uniti, mi tengo quasi quotidianamente aggiornato sugli eventi del mio paese di nascita. Leggo, nei limiti dettatimi dal tempo disponibile, giornali, riviste, commenti, blogs, diari online, risposte e commenti a tutto; trovo ovunque questa grande insoddisfazione, questo vedere in nero per il futuro. Da qui le cose paiono un po' diverse, ma penso a quando me ne sono andato io, e ricordo cose che allora, in Italia, sembravano normali, ed adesso da qui non lo sono piú: dalla burocrazia alla gerontocrazia, dalla affidabilitá del servizio pubblico alla cortesia e professionalitá dei suoi membri, e so che se dovessi mai tornare sarebbe un terribile passo indietro. Ma mi piace da lontano sognare che, senza di me, l'Italia ha fatto dei passi avanti, e che le cose che leggo sui giornali siano in fondo esagerazioni. Poi devo sempre ricredermi quando mi scontro con la burocrazia italiana negli Stati Uniti. Lasciamo stare per ora il Consolato Italiano, per cui ci vorrebbe una decina di post: mi limito per ora a descrivere un caso in cui mi sono imbattuto lo scorso lunedí, 22 ottobre 2007, quando lo scrittore/giornalista Gian Antonio Stella é stato ospite dell'Istituto Italiano di Cultura (IIC) a Los Angeles. L'IIC ha una pagina web dove dice che, per accedere a questi eventi é necessario prenotare. Conoscendo il mio pollo, vado di persona all'ufficio dell'IIC dove all'inizio non trovo nessuno; dopo un po' un ragazzo molto ben vestito appare da dietro un angolo e gli spiego che sto cercando di prenotare per la lettura di G.A. Stella. Lui dice di non saperne nulla ma mi chiede di aspettare, e dopo una ventina di minuti una signora sui 50 anni, tutta ingioiellata e truccata, in tacchi a spillo infiniti, scende le scale; il giovanotto le dice che io desideravo parlarle, lei mi guarda accigliata mentre le spiego le ragioni della mia visita. La signora risponde che "é troppo presto per prenotare" (mancavano allora 11 giorni) e che comunque si prenota per telefono; chiedo se, siccome sono giá lí, non é per caso possibile lasciare il mio nome; bruscamente mi viene detto di no.

Tornato a casa, chiedo a mia moglie, americana, di chiamare, chissá mai che sentendo qualcuno con nome non italiano siano piú disponibili. Rassegnata al marito italiano rompiscatole, chiama e non riesce a parlare con nessuno, ottenendo solo di lasciare un messaggio; per cui non sappiamo se la prenotazione é stata fatta, o siamo in lista d'attesa, o chissá cosa. Siccome nessuno la richiama indietro, il girono dopo, ad un'ora diversa, lei richiama e si ritrova davanti la stessa tiritera di segreterie e messaggini che rimandano qua e lá. Alla fine manda una email, e anche lí nessuna risposta. Ci convinciamo che vada bene cosí, che basta lasciare il nome e che semplicemente non rispondano.

Il giorno dell'incontro, andiamo sul posto con 40 minuti di anticipo. Scopriamo che l'autore sta giá parlando col pubblico; chiedo spiegazioni al cerbero al banco d'ingresso, il quale non si cura di prenotazioni ed orari pubblicati in rete e su opuscoli vari, e mi abbaia letteralmente che "la saletta é giá chiusa a chiave e non si entra". Mia moglie rimane stupita dall'atteggiamento (un po' d'italiano lo mastica, e poi passiamo all'inglese, cosicché tutti capiscano). La saletta in realtá ha una grande parete a vetri, e decine di persone entrano ed escono mentre Stella parla, disturbando lui e parte degli astanti, in un continuo via vai. Io decido di non seguire l'esempio e osservare da fuori, ma dopo pochi minuti l'evento é terminato. Ci sarebbe un concerto a seguire, fragole con la panna e champagne, e si sente profumo di risotto e di gamberetti proveniente dall'altra parte dell'Istituto. Ce ne andiamo lo stesso, mia moglie un po' stupefatta dall'attegiamento e dal mancato rispetto dell'orario, io imbufalito come ai tempi in cui ero a Bologna.

Per quattro volte abbiamo tentato di prenotare per questo evento, ed in tre casi non abbiamo avuto risposta; in uno sono stato trattato non dico neppure poco professionalmente, ma semplicemente male.
L'orario pubblicizzato non é stato rispettato; ci puó essere un ritardo, ma un anticipo? Poi era dovere dare una spiegazione a chi, come noi ed altri sventurati, si é presentato addiritttura in anticipo sull'orario previsto.
In piú, non solo il personale addetto non si é scusato o giustificato, ma ha asserito in maniera poco urbana che non era piú possibile accedere all'evento, mentre bastava girare l'angolo per poterlo fare in barba ai suoi divieti (io ti ho detto di no, ma se vuoi farlo lo stesso sono affari tuoi).

Morale: una certa Italia non cambia mai, anche se esposta a culture diverse; l'arroganza del personale, che dovrebbe essere a servizio sia di noi italiani che siamo all'estero sia di chi abita in questo paese ed é interessato a conoscere la cultura del nostro, ebbene questa arroganza é infinita; la mancanza di precisione, di puntualitá, insomma in poche parole di affidabilitá, é costante, una vera piaga. Non ci sono responsabili, tutto sará come prima, semplicemente gli amici degli amici continueranno ad andare agli incontri, le persone che sono interessate continueranno a essere trattate male. Non é un film che abbiamo giá visto migliaia e migliaia di volte anche in Italia?

mercoledì 3 ottobre 2007

Bologna a Los Angeles: Santa Caterina

Bologna a Los Angeles ha almeno un paio di presenze, entrambe un po' criptiche. Una é la copia della statua del Nettuno nella cittadina di Palos Verdes, di cui parleró un'altra volta; l'altra é solo una antica denominazione geografica, ormai perduta ed ignota ai piú, compreso me stesso fino a poche settimane fa.
Il 14 luglio del 1769 una spedizione comandata da Gaspar de Portolá, governatore spagnolo della Bassa California (quella parte di California che oggi appartiene al Messico) era partita da San Diego alla volta di Monterey, la capitale fino a quel punto raggiunta solo via mare. Si trattava appunto della prima esplorazione della California via terra. Tra i membri della missione c'era anche il padre francescano Juan Crespí, grande amico ed estimatore del padre Junipero Serra (nonostante i cognomi Crespi e Serra siano italiani, le fonti che ho trovato evidenziano come entrambi fossero nati a Maiorca, nelle Isole Baleari; le Baleari erano state possedimento genovese in passato; origini liguri? la mappa dei cognomi italiani evidenzia come il cognome Crespi sia oggi concentrato nel triangolo Lombardia - Piemonte - Liguria, con una buona percentuale in quest'ultima regione,mentre il cognome Serra, comunque molto piú comune, sia principalmente diffuso in Sardegna, ma sempre con alte percentuali nel giá citato triangolo).
Padre Crespí partecipó alla missione come osservatore e diarista, in sostituzione di padre Serra in quel momento malato. Le informazioni che il padre ci ha lasciato dicono che il 2 luglio 1769 la spedizione di Portolá era arrivata sulle rive di quello che verrá chiamato il fiume degli Angeli (rio de Los Angeles), dove si fermó per la notte; da qui invece di seguire il fiume si spinsero verso la costa, passando i depositi ribollenti di pece della Brea per arrivare il 4 agosto presso la odierna Westwood, sede della University of California, Los Angeles (UCLA). Sabato 5 agosto 1769, parte della spedizione si diresse verso l'Oceano Pacifico, ormai a pochi km di distanza, per verificare la possibilitá di muoversi lungo la costa. Arrivati dove oggi sorge la cittá di Santa Monica, e osservando l'alto litorale e le montagne verso Topanga e Malibu, decisero di tornare indietro e, consultandosi con guide indiane, passarono i monti (oggi chiamati le Montagne di Santa Monica, o Santa Monica Mountains in ingelse) da Westwood lungo la valle piú ampia della zona, oggi chiamata il Passo di Sepulveda. Dopo una laboriosa salita al passo, Crespí notó che dall'altra parte si estendeva "una valle molto grande, bruciata dai pagani.. larga 3 leghe e lunga 8 (circa 13 per 58 km).. contenente un bacino d'acqua dolce molto grande..". Crespí notó inoltre l'esistenza nella valle di un numero elevato di querce sempreverdi e decise di chiamarla la "Valle di Santa Caterina da Bologna delle Querce" ("El Valle de Santa Catalina de Bononia de Los Encinos). A volte il nome latino Bononia si trova rimpiazzato da quello spagnolo Bolonia, e lo specifico nome della quercia in questione Encino (Live Oak in inglese) viene rimpiazzato da quello generico Roble.
Il toponimo Bolognese non duró a lungo: il sindaco della neonata Los Angeles, Francisco Reyes, installó tra il 1793 ed il 1795 un ranch nella valle di Santa Caterina da Bologna, ma scelse di chiamarlo con la sua forma piú breve, il Rancho Los Encinos (la Fattoria Le Querce). Nel 1797 vendette la proprietá alla Chiesa Cattolica e si ritiró presso il bacino d'acqua dolce indicato 30 anni prima da Crespí; nel frattempo, la California da spagnola era diventata messicana e nel 1845 Pio Pico, l'ultimo governatore prima dell'arrivo degli statunitensi, sequestró le terre per affidarle ad alcuni dipendenti indiani. Dopo una lunga serie di peripezie e compravendite, nel 1949 lo stato della California acquistó definitivamente quello che rimaneva del ranch per farne finalmente, nel 1971, un parco pubblico (Los Encinos State Park).
Quando nel 1797 la Chiesa acquistó parte della Valle, lo fece per potere costruire una nuova Missione, dedicata a Ferdinando, Re di Spagna (Mision del Señor Fernando, Rey de España). Da allora il nome del re, in qualche modo santificato, ha coinciso con quello della Valle: oggi si chiama la Valle di San Fernando (San Fernando Valley), e del nome di Bologna non c'é piú alcuna traccia, se non qualche cenno nei documenti e nelle didascalie nel Parco Statale delle Querce. Ridotta la missione a semplice chiesa cattolica all'interno della Valle di San Fernando, il tutto é oggi parte della tentacolare cittá di Los Angeles, con alcune comunitá indipendenti circondate dalla metropoli.

Come si puó vedere, il legame di Bologna con Los Angeles é estremamente tenue, e comunque se non perduto, sconosciuto ai piú. Molti nomi qui in cittá sono di origine spagnola, e parecchi di questi sono legati a santi italiani o a localitá di santi italiani (Los Angeles era originariamente il "Villaggio di Nostra Signora, la Regina degli Angeli del Torrente della Porziuncola", dove la Porziuncola é il fiumiciattolo che scorre lungo l'Appennino presso Assisi e caro a San Francesco; il quale naturalmente dá il nome alla cittá di San Francisco, un 600 km piú a nord); come con Cristoforo Colombo, la retorica spagnola nelle terre colonizzate da Madrid si é appropriata di numerose cose e persone, comprese quelle italiane.

martedì 2 ottobre 2007

Cos'é Bologna in America

Che cos'é Bologna vista dagli Stati Uniti?
Partendo dalla premessa che molte persone non sanno collocare il loro paese od il loro stato su una carta geografica (ma questo é un tratto comune a molte nazionalitá), ne consegue che pochissimi sanno che Bologna é una cittá. In genere il nome Bologna fa subito pensare ad una specie di salume (un esempio si puó vedere qui, su una pagina della Kraft). Questo salume, nemmeno un lontano parente di quelli italiani, é spesso fatto di carne di tacchino o manzo ("turkey bologna" o "beef bologna"); il maiale , come si aspetterebbe invece un italiano, non viene utilizzato, e sulle tavole americane é comunque usato con meno frequenza di pollame e manzo. Non solo: bologna viene pronunciato boloni, esattamente come la parola "boloney", che significa stupidaggini, o scemenze; da qui viene la frase "to be full of boloney" per indicare una persona che parla parla ma non dice nulla, o che fa asserzioni campate per aria.

Il termine "bolognese" appare anche nella famigerata dizione "bolognese sauce", o salsa alla bolognese, un generico miscuglio di pomodoro e carne che assomiglia molto alla lontana al nostro ragú. I famosi "spaghetti alla bolognese" che notoriamente non esistono a Bologna, riempiono centinaia di menú di ristoranti pseudo-italiani.

Incontrando persone di piú elevato livello culturale, che sanno cioé che esiste un paese chiamato Italia da qualche parte nel mondo, bisogna fare una distinzione tra le zone in cui l'emigrazione italiana nel secolo scorso é stata alta e quelle in cui é stata relativamente bassa, dove la considerazione per l'Italia é leggermente migliore e pochi parlano di stereotipi, la mafia, la guerra (anche se ho dovuto sopportare la mia parte di questi pregiudizi) concentrandosi su altri, pur se meno negativi, cliché: la moda, l'arte, le macchine sportive, il calcio, il cinema in alcuni casi. Alcune di queste persone conoscono le classiche Firenze, Roma e Venezia; qualcuno si spinge a citare Capri, Napoli, Verona o Siena, chi ha interessi piú differenziati cita Milano, la costa ligure, la Toscana in generale, Taormina. Chi é stato in Italia magari cita Bologna perché ci é passato in treno o in macchina" per andare da Firenze a Venezia. Pochi adepti la hanno VISTA, sono scesi da quel benedetto treno e ci hanno camminato.

I giornali, almeno quelli che sfoglio io, quali il Los Angeles Times ed il New York Times, hanno iniziato a parlarne come una delle capitali mondiali del cibo; al Getty Center, istituzione d'arte privata dalle grandi capacitá economiche, ci sono state mostre tipo "due secoli di disegni bolognesi"; similmente, altri musei mostrano opere di bolognesi, sia di proprietá che in prestito.

Si puó dire che, se una persona ha interessi culturali, o geografici, sa cos'é Bologna, dov'é, e la sua importanza relativa. La maggior parte della gente tuttavia continua a pensare che essere di Bologna sia un modo buffo per dire che sei "full of boloney"

lunedì 1 ottobre 2007

Bologna in 36 ore, secondo il New York Times

Oggi, sfogliando in rete il New York Times, ho notato un articoletto su Bologna, cosa vedere in 36 ore, con tanto di carrellata fotografica.
Beh devo dire che mi fa piacere che ogni tanto si presti attenzione ad una delle citta' piu' sottovalutate d'Italia. Lascio fare considerazioni sulle scelte dell'autore dell'articolo agli eventuali lettori, ma e' divertenet notare come la prima foto mostri una signora anziana con borsa di plastica rosa shocking e caratteri cubitali che dicono "Paris, Texas". Che a quanto mi risulta e' un negozio di abbigliamento di Bologna, e che per qualche meno profano e' anche un vecchio film di Wim Wenders; ma siccome il lettore medio del New York Times probabilmente non sa ne' l'una ne' l'altra cosa, ma e' in qualche modo consapevole di una cittadina chiamata Paris in Texas, lo immagino domandarsi cosa diavolo ci fa una signora con una borsina cosi nel centro di Bologna.
Le foto sono comunque di routine (notare nella foto 9 come il Bolognese medio sia avido lettore di "Repubblica") ma almeno l'articolo, se in parte indugia sui classici stereotipi, si estende anche a cose piu insolite (bersi un caffe con accanto l'acqua che scorre ad esempio, o un museo d'arte moderna apparentemente rinnovato)